«Purtroppo, Simmia, mi sarà difficile persuadere gli altri del fatto che io non reputo una sventura la mia sorte presente, dal momento che non riesco a convincere nemmeno voi che
ve ne state lì tutti preoccupati, credendo che io sia d’un umore più tetro che per il passato. Si vede che in fatto di virtù profetiche voi mi giudicate assai meno dei cigni che, pur avendo sempre cantato, quando sentono vicina la morte, levano più alto e più bello il loro canto, lieti perché sanno di recarsi presso il dio di cui sono i ministri.
Gli uomini, invece, con tutta la loro paura della morte, interpretano erroneamente questo canto e dicono che essi si lamentano così perché stanno per morire e, quindi, cantano per il dolore, senza sapere che nessun uccello canta se ha fame o ha freddo o sta male, nemmeno l’usignolo, la rondine o l’upupa, anche se si dice che il loro canto sia un pianto di dolore; nessun uccello, credo, canta per il dolore e tanto meno i cigni che son sacri ad Apollo e che, perciò, dotati come sono di senso profetico, prevedono le delizie dell’Ade e cantano felici, in quell’occasione, più di quanto non abbiano mai fatto in tutta la loro vita.»
Platone